Gastel portrait

Giovanni Gastel

Addio al grande poeta dell'immagine.

Gastel portrait
Dopo Raoul è morto un altro grande artista, credo il miglior fotografo di moda italiano.
Un nobile, un signore non solo di fatto ma anche nel cuore, (Figlio di Ida Visconti di Modrone. Nipote del regista Luchino Visconti) ,una persona di grande spessore, che è stato per me un grande maestro.
 

 Sin da quando ero andato ai tempi dell’IED nel suo studio a Milano, dove mi aveva colpito il numero incredibile di libri fotografici che aveva, è stato un artista da cui prendere spunto e farsi contagiare. Ricordo che cercavo di imitare il suo stile unico che aveva creato con Trussardi, che ha seguito per anni, dove la luce principale verso il soggetto veniva da un lato, mentre nel fondo la parte illuminata era dal lato opposto. Ed ogni sua immagine era spunto per creare qualcosa di nuovo.

 

 Credo che il divario con i fotografi di oggi “giovani” di moda sia un abisso incolmabile ….

Guardate il suo profilo instagram … merita solo per il pensiero per sua moglie ….. ma le foto …… dopo averle viste siete costretti ad andare a vedere un Newton o un Avedon, tutto il resto è ….. noia.
Penso che i suoi scatti siano sempre con una marcia in più, mai banali, sia tecnicamente che emotivamente …. mentre oggi fanno delle cose inguardabili ….. siamo tornati a vedere modelle buttate su mucchi di spazzatura o polistirolo …… e senza tecnica.
E’ come se un poeta sbagliasse i congiuntivi …..
Lui è sempre stato avanti, sin da quando lo seguivo da giovane, ma mi meraviglio delle cose incredibili che continuava a produrre …. e cavolo …. aveva solo 65 anni !!!!! 65 !!!!!!
 
Quante emozioni ancora ci avrebbe ancora donato !!!!
La sua tecnica è invidiabile, da Hasselblad e Sinar in pellicola 8×10 al digitale di Hasselblad e poi Canon, sempre al top, un uso delle luci incredibilmente perfetto e creativo, con il digitale un gusto per la postproduzione che nessuno può avere il coraggio di contraddire .
Gastel è la chiara evidenza che il mezzo è secondario, quello che conta è la tua visione e capatità di esprimere quello che hai di fronte con creatività. Poteva avere tra le mani una Polaroid 8×10″ o un dorso digitale su cui lavorare in photoshop, ma la Fotografia rimane la stessa. E ha continuato a produrre vere “opere d’arte” negli anni senza cambiare il suo gusto e capacità di emozionarci ritraendo la bellezza.
Mi ha colpito una sua frase:  ” nel ritratto non sono lo specchio , ma il Riflesso di chi ho davanti. “
Quando faccio un ritratto spetto che il soggetto finisca le sue pose dove cerca la sua dimensione, e. poi gioco con la seduzione, cercando di cogliere attraverso il mio animo la personalità di chi ho di fronte. 
Bellissimo, fondamentale , nella fotografia di ritratto. Un fotografo non sarà mai il mezzo in cui un personaggio o una modella si specchia per esprimersi come lui crede di sembrare ed essere, ma rifletterà sempre quello che vede ed il momento vissuto insieme al soggetto nello shooting.
Gastel diceva “mi lascio sedurre, sia uomo che donna” dove la seduzione va oltre il termine legato alla sensualità. E solo essendo sedotto puoi vedere e  tirare fuori l’anima di chi hai davanti. Ecco perchè i suoi ritratti sono così speciali, oltre a saper interpretare creativamente le emozioni che viveva in quel momento. 
 
Questo Covid …. non se ne può più.
 
Volevo ringraziarlo per la BELLEZZA che ha donato al mondo, perchè è di quella che l’uomo si nutre. E lui di arte ce ne ha donata tanta.
Ma quella bellezza dove non è vero che “tutto” è bello basta che ti piace …….  ma dove un’opera lo è se ti emoziona dentro, se chiunque passa e la vede si ferma 5 minuti estasiato ……
Oggi la fotografia dovrebbe imparare da personaggi come lui, non dai saltimbanco che fanno solo grandi parole, ma di emozioni in foto non sanno tirare fuori nulla !!
 
E’ grazie anche alle tue foto se sono riuscito a crescere come professionista e come fotografo.
 
Giovanni Gastel, penso per te sia riservato in cielo un posto speciale. 
RIP.
 

Ecco una galleria di immagini che mi hanno colpito, anche se la scelta è difficile per quanto sono le immagine di valore che ha prodotto nella sua vita.

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Fotografia e Musica _ 3

La nascita del VideoClip

Mi è sempre piaciuta Loredana Bertè , una donna bellissima e sensuale negli esordi, ma da quando nella ns piccola band avevamo inserito il brano “E la luna bussò”, rimasi affascinato dalla costruzione di quel brano.

Quando ho scoperto la sua vita  e la sua parentesi nella grande mela direi mi è diventata un mito !!

La fotografia che vedete sopra è la copertina del disco “Made in Italy” scattata da un discepolo di Man Ray che frequentava la Factory di Andy Warhol, Christopher Makos, scattata nel 1981.

La Berté era arrivata nella città americana nel ’78, ufficialmente per imparare l’inglese, in realtà per vivere il suo “primo anno sabbatico newyorchese”. Una permanenza di un anno e mezzo e alle lezioni di inglese si aggiunsero presto  visite ai teatri e ai locali della città. E tra gli incontri con gli artisti fu sicuramente decisivo quello con Andy Warhol che alla Berté aprì le porte della sua industria artistica, la FACTORY.

Loredana entrò subito nelle grazie di Warhol , conosciuto al Fiorucci Store e scambiata per una commessa. Iniziò a frenquentare tutto il suo ambiente, e fu soprannominata “Pasta Queen”, per le sue doti culinarie italiane.

Nacque così il video clip del brano MOVIE.

“Non è soltanto uno dei primi videoclip della storia della musica. Ha la firma eccellente di Andy Warhol e una protagonista sorprendente, Loredana Berté. Il video di “Movie”, una canzone dall’album “Made in Italy” che la Bertè pubblicò nel 1981, venne girato da Warhol a New York negli studi della mitica Factory: la cantante italiana, grazie al chroma key, canta nel video sullo sfondo delle strade e dei palazzi di New York, immagini girate da Warhol il giorno prima.” cit.

Purtroppo la Rai sta facendo razzia di contenuti interessanti da web con la scusa del copyright, e attualmente non è più disponibile. Io l’ho visto solo qualche mese fa ed inutile dire la parola che mi viene in prima battuta è “innovativo”.

            Signora Berté, come ricorda il videoclip con Andy Warhol?
“Quel videoclip è il risultato di un anno di amicizia vera. Incontrai Warhol nel negozio newyorchese di Fiorucci e ci intendemmo subito. Diventammo molto amici: era gentile, ironico, sensibile, mi invitò subito a frequentare la Factory, dove diventai di casa, e veniva spesso a casa mia alle ore più assurde per farsi cucinare tortellini e altri piatti italiani che adorava. Alla scuola di lingue che frequentavo c’era anche Pelé, che studiava lo spagnolo, e con lui e Andy diventammo inseparabili, eravamo sempre in giro”.

In quel soggiorno a New York lei lavorò anche al disco “Made in Italy”.
“Incontrai per caso Eumir Deodato e gli chiesi se conosceva una band con la quale potessi registrare qualche pezzo che avevo già a disposizione. Lui mi portò negli Electric Lady Studios dove aveva inciso Jimi Hendrix e mi presentò a questa band incredibile di musicisti neri, i ‘Platinum Hook’, che però avevano altri lavori da seguire. Così abbiamo registrato il disco un po’ per volta, senza fretta”.
E come avvenne la scelta di “Movie” da parte di Warhol?
“La sentì un giorno che venne a trovarmi nello studio di registrazione. Gli piacque molto e volle conoscere la traduzione del testo, non faceva mai nulla a caso. Il giorno prima del video se ne andò in giro per New York a realizzare le immagini della città che si vedono sullo sfondo. Poi quando fu il momento di girare il video utilizzò la tecnica del chroma key, mi fece salire su un grosso barattolo che coprì con un telo azzurro e quando vidi il girato ebbi la sorpresa di ritrovarmi in mezzo alla città. Ma non fu l’unico regalo che volle farmi: anche la copertina del disco, con la bandiera d’Italia sgualcita e il mio ritratto, è opera della sua Factory: le foto le scattò Christopher Makos, che era uno degli artisti del suo gruppo. A me sarebbe bastata la copertina”.

© Dall’intervista di Carlo Moretti a Loredana Bertè.

Come già descritto negli articoli precedenti, se un’immagine ha una forza di comunicazione che ti può arrivare al cuore, se abbiniamo all’immagine una canzone che rafforza il concetto, beh a questo punto tocca anche le corde della ns anima.

L’evoluzione perfetta che è chiara conseguenza di come queste due arti vivono bene insieme, è il video clip, oggi il mezzo più diffuso e visto nel campo musicale. In fondo un video non è altro che la sequenza di più fotogrammi, quindi più fotografie. Vero, intervengono ritmi tempi dissolvenze ed altri fattori, ma la bellezza del cinema è fatta se dietro c’è un bravo “direttore della fotografia” , in quanto il mezzo che lo rende unico è come nella fotografia “LA LUCE”, il mezzo che impressiona la pellicola , il film sia fotografico che cinematografico.

Dunque quale è stato il primo video clip della storia ?

Molti lo attribuiscono ai QUEEN con il video “Bohemian Rhapsody”, ma se vogliamo guardare con più attenzione non è così. 

Nel prendere in considerazione quale sia stato il primo videoclip della storia della musica, bisogna fare delle sottolineature: c’è differenza tra videoclip e videoclip pubblicitari; Negli anni 60 hanno iniziato a realizzare diverse video clip che hanno portato singoli e brani ad essere pubblicizzati attraverso una messa in onda televisiva. 

Negli anni 60 sono stati i Beatles i primi ad inaugurare la tendenza del videoclip promozionale.

In quest’ottica rientrano tutti i video realizzati negli anni ’60: in tante occasioni si tratta semplicemente di videoclip che filmano la formazione esibire un brano, in altre (come nel caso dei Beatles) di brevi spezzoni dei film riconvertiti in videoclip con l’utilizzo della musica.

Ancora una volta, è necessario citare una realizzazione che ha fatto storia per avere un riferimento storico preciso: in particolar modo si può guardare al videoclip di Subterranean Homesick Blues, canzone di Bob Dylan il cui videoclip rappresenta una delle prime forme di pubblicizzazione moderna; il video, tratto dal film Don’t Look Back di D. A. Pennebaker, un documentario sul tour di Bob Dylan del 1965, mostra lo stesso cantautore statunitense lasciar cadere fogli su cui è scritto il testo del brano: i fogli sono stati scritti da Donovan, Allen Ginsberg, Bob Neuwirth e Dylan.

Caso specifico da prendere in considerazione è anche quello di Bohemian Rhapsody, il cui videoclip – del 1975 – può strutturalmente definirsi come il primo della storia rock, grazie all’utilizzo di una regia, di effetti speciali e di post-produzioni ben visibili. Lo Troverete infatti citato in diverse fonti come il primo video clip della storia.

La nazione all’avanguardia è sicuramente  la Gran Bretagna, dove nasce la trasmissione televisiva TOP OF THE POP.  Nasce il “New pop” da cui nasce il moderno video musicale.

L’audiovisivo non si limita più a registrare, documentare, una performance live o in studio… invece contribuisce alle emozioni e al feeling del brano musicale, oltre a rispondere all’esigenza del pubblico di poter vedere i loro idoli.

Tramite i videoclip inoltre gli artisti mirano a creare o valorizzare la propria immagine di star del pop, creando quindi dei veri e propri spot pubblicitari di sè stessi, non soltanto del proprio brano musicale.

Ma la vera svolta è la nascita di MTV, il programma dove il palinsesto è composto dai video clip ed arriva in poco tempo ad un successo popolare trasformando il video musicale nel mezzo in cui più i giovani si avvicinano alla musica.

Ad oggi il Web e oggi i Social sono diventati diffusori all’ennesima potenza dove chiunque dal proprio smartphone può usufruire di queste produzioni che sono diventate pure opere d’arte nei livelli più alti.

 

 

Da allora sono stati creati dei veri film, con registi importanti.

Quali sono i migliori ? Beh, anche qui vale la regola del budget, là dove ci sono molti soldi sono possibili cose incredibili ….. un pò come le foto di Annie Leibovitz sulla Disney, avete visto la foto di Biancaneve ed una sua foto di Backstage ? Produzione cinematografica di svariate decine e decine di migliaia di $.

E’ chiaro che io ho sempre guardato non solo la forma, in quanto sia musica che fotografia mi parlano dentro e mi fanno crescere, e non mi emoziono certo solo per una precisione tecnica, ma è vero che a volte tanta professionalità diventa arte ! E’ chiaro prediligo il messaggio, ma rimango sempre affascinato e prendo molto da quello che l’uomo riesce a creare nel cercare la bellezza.

A seguire una scelta di videoclip premiati e che mi hanno colpito, la lista potrebbe essere lunghissima ma ho cercato di toccare le mille sfumature della musica.

 

Ed infine lo sapete per me è un autore che ha creato in parte quello che sono, Bob Dylan. Non lo troverete nelle classifiche, un brano che forse a pochi può piacere, ma se avete il coraggio di leggere il testo di questo brano uscito un anno fa che è salito nelle classifiche come ai vecchi tempi, una riflessione di un uomo anziano, ricco di vita , di esperienza, sempre stato avanti a tutti, il cui contributo per tutto quello che ascoltiamo di buono è stato fondamentale.

 

BUONA VISIONE

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Musica e Fotografia 2

Sicuramente se non avessi fatto il fotografo, avrei provato a fare il musicista ….. troppa grande è l’emozione ed energia che scatena dentro di me la musica.

Ma pur facendo fotografia nella vita le due passioni hanno continuato a vivere in parallelo dentro di me. Come ho scritto nell’articolo precedente l’unione di queste due arti sublima la ns percezione dell’opera.

La volta scorsa ho preso un esempio simbolo di questa unione, il rapporto tra Robert Mapplerthorpe e Patty Smith, come promesso oggi voglio portarVi un altro grande esempio di questa contaminazione: Andy Warhol e i Velvet Underground.

Stessi anni , 60th ……  stessa location : Grenvich Village . Il luogo dove TUTTO è cambiato, dove la trasformazione artistica ha investito una grande trasformazione sociale nei giovani e nella società. 

P.S. film super consigliato : Across the Universe per capire cosa succedeva in quegli anni a NY.

Andy Warhol & Velvet Underground

Stessi anni 60, clima Newyorkese e voglia di creare , stupire, rivoluzionare.

Nello studio di Andy, la “Factory” c’era di tutto, un contenitore dove culture arti e trasgressione si incontravano.

Oltre ad essere serigrafia, era un luogo di ritrovo per artisti, attori di film hard, drag queen e musicisti.

Questi “operai dell’arte” svilupparono un’atmosfera tale da permettere all’artista di creare quelle immagini, suoni di massa, allo stesso modo in cui le industrie capitalistiche producono in massa prodotti per i consumatori.

Siamo nel 1965 quando Warhol e i Velvet si incontrarno al Cafè Bizarre nel Greenvich Village a NewYork. La band era appena stata licenziata dopo un esibizione ritenuta troppo scandalosa e volgare. Warhol, da spettatore di quello show, ne rimase folgorato.

E fu così che Warhol incontrò Lou Reed divenendo mentore della sua band: “ I Velvet Underground”, ed offrendo la Factory come sala prove. Al gruppo si aggiungerà per volere di Warhol anche Nico, chanteause tedesca che porterà il primo disco prodotto da Warhol stesso, una donna con un anima ancora più metropolitana.

Andy non fu il produttore musicale, ma quello “nominale” delle sessioni, le finanziò, presenziò ad esse, incitò la band a costruire il sound live che lo aveva tanto colpito, scelse di aggiungere la modella Nico alla band, disegnò la copertina; il suo fu un vero e proprio lavoro di propaganda, di produzione, non musicale bensì artistica.

L’album, VELVET UNDERGROUND & NICO (1967), è un magma ipnotico, un sound graffiante e potente, che parte con la spiazzante ‘Sunday Morning‘, ballata eterea e a tratti paranoica, passando poi alla martellante ‘I’m Waiting for the Man’, plana dolcemente su ‘Femme Fatale’ per impattare nell’apocalittica ‘Venus in Furs’, ispirata al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. Poi, è la volta di  ‘All Tomorrow’s Parties’ (la preferita di Warhol), la orecchiabile ‘There she goes again’, la cavalcata blues ‘Run Run Run’, la dissonante e sinistra ‘The Black Angel’s Death Song’. E, ancora, la nichilista, ruvida e allo stesso tempo seducente ‘Heroin’: “Perché quando l’eroina è nel mio sangue/ e il sangue è nella mia testa/ ringrazio Dio, sto meglio che se fossi morto!/ ringrazio il vostro Dio che non sono cosciente”. Droga, sesso e vita quotidiana infarcivano i testi di Reed.

Gli spettacoli dei Velvet & Nico erano delle vere performance musicali/artistiche no political correct, uno spettacolo multimediale che univa musica cinema danza recitazione e fotografia. Andy proiettava sue opere, che venivano trasportate in un altra dimensione dalla musica di Lou Reed e John Cale, mentre ballerine seminude e DragQueen ballavano. E da un altro punto di vista  la musica prendeva un altro valore mentre si vedevano effetti di luce ed immagini vive e proiettate. E’ la prima volta nella storia che l’immagine incontra la musica con tale enfasi e potenza !

Il loro rapporto, foto e musica, divenne importante anche per la foto della copertina fatta da Warhol.

L’immagine sulla copertina non solo inviava messaggi equivoci, ma rispecchiava anche i contenuti musicali delle canzoni.

Questa sfacciataggine, mista a suoni precursori di un nuovo stile, non furono ben accolti dagli standard dell’epoca.

L’oggetto della copertina era una banana gialla su fondo bianco, all’estremità superiore destra vi era una piccola scritta: “Peel Slowly and see” (“Sbucciare lentamente e vedere”), l’istruzione portava a scoprire che la figura del frutto non era altro che un adesivo il quale una volta tolto rivelava una banana rosa shocking, ovvia metafora maliziosa.

Più che una semplice copertina si può parlare di un’opera d’arte contemporanea, ed è ciò che oggi è diventato.

Questa contaminazione tra fotografia e musica ha creato le fondamenta per quello che è diventato oggi una grande potenza di comunicazione: il videoclip.  

Il video non è altro che una sequenza di immagini, ed un artista come Warhol nelle sue sperimentazioni non poteva non toccare questa nuova arte, che contaminata dalla musica ha creato i noti videoclip. 

Ma ne parleremo nel prossimo articolo.

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LUCI GIUSTE PER VIDEOCHIAMATE PERFETTE

In tempi di Covid abbiamo scoperto _ riscoperto _ assaporato la bellezza ed importanza della comunicazione attraverso il web tramite videochiamate, webinar, workshoponline.

Ma proprio questa esplosione ha portato alla luce le grandissime difficoltà che si incontrano affrontando i video, specialmente se i soggetti siamo noi stessi ! Oggi non vi parlerò dei problemi tecnici, dei programmi da utilizzare, della rete in italia che è assolutamente insufficiente per poter gestire dirette facebook , ma di un problema ben più importante e che sta alla base nella gestione della videochiamata: la luce !

 

Così come fotografia significa disegnare con la luce, anche nel video se c’è una componente che è fondamentale per non apparire poco professionali ed improvvisati, è la luce. Il video infatti non è altro che il susseguirsi di immagini statiche, vive quindi di fotografia.

Avete mai notato quale è la grandissima differenza che vi lascia sbigottiti quando guardate una telenovelas argentina ……. o lo spot girato da teleromagna (riferimento casuale solo per dare l’idea) ed una produzione cinematografica americana di livello (per capirci un film da oscar) ?

Ebbene si …. è  la LUCE !! Nel primo caso ci ritroviamo un effetto finto come se avessero preso tutte le luci che avevano nel set e le avevano sparate direttamente sui soggetti.  Oppure non esiste luce artificiale e quella del sole viene utilizzata nel peggiore dei modi. Nel secondo caso ci ritroviamo immersi ed affascinati in situazioni dove ci sembra di vivere le scene entrandoci dentro e con emozioni che colpiscono il cuore!

E capirete benissimo che fondalmentalmente è solo una questione di budget, i soliti soldi !!!!

Non a caso nella geriarchia dei fotografi si va dal negozietto che fa ritrattini e battesimi, al fotografo matrimoni, al fotografo reportage, al fotografo industriale , al fotografo pubblicitario, e chi sta in cima alla piramide ? Il direttore della fotografia, il personaggio che crea le luci nel cinema. Sono pagatissimi, molto preparati, di solito è un fotografo pubblicitario che  frequenta un corso specializzato per il cinema …….   Un’eccellenza italiana è Vittorio Storaro : Apocalypse now (1979) –  L’ultimo imperatore (1987)

Tornando alle nostre dirette facebook o video lezioni o incontri che possiamo realizzare in un mondo dove comunicare a distanza sta prendendo sempre di più un peso importante nel workflow in tutti i settori, una base fondamentale per non sembrare sprovveduti è la luce che ci illumina, oltre all’audio.

Siccome non sono un tecnico del suono, con Mirna Casadei, la Homestaging più famosa in Italia, abbiamo realizzato una diretta IG molto bella su come poter risolvere l’illuminazione in casa anche senza troppi mezzi !!!!! Dopo la diretta visto l’importanza dell’argomento, ho realizzato questo video tutorial che vi spiega il concetto di luce diffusa ed illustra come costruirsi con pochi mezzi un diffusore (softbox) per illuminare se stessi al top quando realizziamo un video.

Scordatevi i famosi RING cinesi …… dove vado ne trovo uno per terra …. chiedo il motivo …. e tutti mi rispondono : “l’avevo comprato perchè dicevano è bellissima la luce che fa …. poi dopo due prove non l’ho più usato, ero orribile con luce sparata in faccia senza ombre e se metto gli occhiali un disastro”.

NOOOOO L'ANELLO NOOOOOOO

Imparare a gestire le luci, che siano naturali o artificiali, è la base fondamentale della fotografia.

Ma non preoccupatevi, anche molti fotografi professionisti non lo sanno, ed utilizzano le luci sempre nella stessa maniera, dando importanza solo alla modella e inquadratura …..

Vi lascio al mio video tutorial, che sarà il primo di una serie importante che troverete sul mio canale YouTube, nella McMau Light Academy , e che vi riporterò sempre nel mio blog.

Buona visione …… e attenti alla luce della finestra !!!!!!!

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Musica e Fotografia

Esistono molti modi per affrontare il rapporto tra la musica e l’immagine, fotografia.

I due mondi, ovviamente, si collegano prima di tutto a livello percettivo, mentale. Per una corretta impostazione della questione, si devono contemplare l’immenso territorio dell’immagine visibile e l’altrettanto vasto territorio dei suoni udibili.

Ogni segno, elemento o componente visiva, costituisce un “oggetto visivo”, inteso nel modo più generico possibile. Similmente un qualunque evento uditivo costituisce un “oggetto sonoro”.

Pensare alla corrispondenza tra due oggetti, uno sonoro ed uno visivo, come due espressioni, due manifestazioni di una stessa “entità”, essere super partes che emana espliciti stimoli AUDIOVISIVI.

In questo senso immagine e musica, oggetti visivi e sonori, non sono altro che due diverse manifestazioni dello stesso essere, che sia pensiero o semplice sensazione che colpisce l’anima.

La musica e la fotografia, dunque, sono strettamente collegate da un rapporto percettivo, mentale, artistico e culturale. Due espressioni artistiche così spesso legate tra loro in modo inseparabile, che nella vita degli autori la ritroviamo in continuazione.

Non è un caso che  difficilmente ho collaborato con grafici, Artdirector o colleghi fotografi che non amassero la musica, anzi che la musica non fosse parte imprenscindibile della loro vita. O facendo parte della musica come esecutori (chitarristi specialmente) o amandola a tal punto da seguire concerti , uscite discografiche, in maniera ossessiva, perchè senza di essa (la musica) non si è in grado di vivere (è come quando manca l’ossigeno per respirare).

A volte per capire a pieno un significato anche emotivo, l’una si avvale dell’altra; spesso la fotografia aiuta a capire ciò che la musica ha da dire e viceversa. Sin dai tempi in cui studiavo all’IED a Milano ero rimasto affascinato, ma non è la parola esatta ….. avete presente quando arriva uno tsunami e travolge una spiaggia ? No? …. neppure io ma credo che le immagini che abbiamo visto ci diano un’idea chiara !!  Beh mi aveva colpito in quel modo …… una scossa che mi è rimasta in tutta la mia vita da fotografo. Il top erano le proiezioni con proiettori Hasselblad 6×6 cm e musica di alto livello …….  Ora abbiamo grazie alla tecnologia tante possibilità creative ancora più coinvolgenti, ma il punto rimane quello: quando l’emozione dell’immagine incontra l’emozione della musica …… l’emozione che ne deriva viene amplificata di 10 volte.

Nella storia della fotografia e della musica, questo incontro ha raggiunto apici negli anni 60, quando il Greenvich Village di New York era il cuore pulsante di una società che cercava espressioni culturali che potessero scuotere le anime.

 

Patty Smith & Robert Mapplethorpe

Due ventenni squattrinati arrivano a New York alla fine degli anni 60. Si incontrano per caso, si amano, si lasciano quando lui scopre di essere omosessuale, ma restano amici e si aiutano per tutta la vita.

Anche quando diventano artisti famosi, anche quando lui muore e lei continua a conservare la sua memoria.

La storia di amicizia tra Patti e Robert si racconta in un libro, “Just Kids”, un ritratto inedite struggente del grande fotografo, un inno alla creatività per sempre giovane e un documento alla New York vitale e creativa di quegli anni.

Al centro di tutto c’è il loro legame umano ed artistico, quel modo complice di guardarsi che viene fuori dalla famosa copertina del primo album di Patty, “Horses”, del 1975, una foto che Mapplethorpe le fece senza luci,

senza assistenti, soli loro due in una stanza.

Questo rapporto si è creato tra un musicista ed un fotografo, tra fotografia e musica, un rapporto inequivocabile.

Questo legame tra i due, forte, che va al di la delle parole, piena di sfumature, intreccia amore, amicizia, vita e arte.

Patti, la sua musica rock, la sua voce rabbiosa, febbrile e dolente incarna una figura a metà tra una oscura sacerdotessa ed una passionaria politica.

Mapplethorpe, la sua fotografia in bianco e nero, con forti contrasti, una scultura scattata e scolpita in una foto incarnava, invece, una figura forte, allo stesso tempo fragile confusionaria. Per questo la sua esigenza di trovare “l’equilibrio” perfetto nelle sue fotografie. Entrambi creavano arte l’uno come ispirazione dell’altro, un mix che portò i due artisti ad esprimersi nel massimo della loro ispirazione e creatività.

Intervista di Patty Smith al Rolling Stone

“Il giorno prima che morisse, ho promesso a Robert (Mapplethorpe) che avrei scritto la nostra storia. Lo conoscevo da quando avevamo 20 anni ed eravamo Just Kids, solo due ragazzi, affamati della vita, creativi e senza un soldo. Abbiamo costruito tutto partendo dal nulla. Quando vivevamo al Chelsea Hotel non avevamo un telefono, non avevamo tv, mangiavamo una volta al giorno. Ma credevamo nella nostra visione e di notte lavoravamo alla nostra arte. Ho scritto il libro perché volevo che la gente sapesse chi era Robert, come si è formato, e che ciò che abbiamo fatto è a disposizione di tutti, quando arriva quel momento di battersi per le proprie idee. Volevo far capire ai ragazzi che non è la crisi che può fermarti, che può renderti infelice, che può impedirti di realizzare i tuoi sogni. Si può andare avanti con niente, e la cosa migliore di cui disporre è una persona con cui condividere questi momenti, qualcuno che creda in te. Ma devi essere tu il primo a credere in te stesso, nel tuo desiderio di scrivere, suonare, fare fotografie” Patti Smith (tratto dall’intervista su Rolling Stone Magazine)

In un prossimo articolo parlerò dell’altro esempio degli stessi anni che è la sintesi perfetta di questa fantastica unione di espressioni artistiche ….. Andy Warhol e i Velvet Underground.